CAPPA, SPADA E ... MANI TESE

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Nel primo periodo della dinastia Zhou i vari principi
feudali, fra loro in guerra, avevano assoldato militari di professione; quando,
nel secondo periodo Zhou, si ebbe il crollo del feudalesimo questi specialisti
di arti marziali divennero cavalieri erranti al servizio di chiunque li potesse
stipendiare.

Il loro profilo e la loro deontologia venivano così
delineati: "Le loro parole erano sempre sincere e degne di fiducia, le loro
azioni erano sempre rapide ed efficaci. Portavano a termine ciò che
promettevano e, senza preoccuparsi di se stessi, si gettavano in pericoli che
minacciavano gli altri" ( "Documenti storici", cap. 124).

Secondo l'eminente studioso Fung Yu Lan il filosofo Mozi
(circa 479 - 381 a.C.) proveniva in origine da questa classe di cavalieri
erranti. Mozi  fondò infatti una scuola
organizzata secondo una rigida disciplina militare; il titolo attribuito al
capo della scuola era "Gran Maestro", il primo "Gran Maestro" fu appunto Mozi. La
fonte principale per conoscere la vita e il pensiero di questo autore ne porta
lo stesso nome, appunto "Mozi"; secondo quanto riportato in questo testo Mozi
aveva la capacità di guidare i propri adepti come un vero e proprio gruppo
guerriero.  E' particolarmente
significativa in questo senso la missione di Mozi in favore di Sung minacciato
dal vicino stato di Ch'u: l'intervento di Mozi scongiurò la guerra, attraverso
argomentazioni che rivelavano un'ottima conoscenza della strategia militare
(cfr. Mozi, cap. 50).

In origine quindi i seguaci di Mozi costituivano un
gruppo di guerrieri, provenienti da quello che era stato il nerbo degli
eserciti feudali. Mozi sostanzialmente elaborò gli ideali della classe dei
cavalieri erranti, sintetizzabili nel seguente detto posteriore: "ugualmente
gioire ed ugualmente  soffrire",
estendendo la deontologia del gruppo a norma etica universale. In altre parole
Mozi elaborò motivazioni razionali, che diedero vita ad una vera e propria
scuola filosofica, partendo dalla prassi tradizionalmente codificata dell'etica
professionale dei cavalieri erranti. Inoltre a differenza di costoro, pronti a
combattere per qualsiasi principe feudale disposto a pagarli, Mozi s'impegnava
solo in azioni difensive, condannando la guerra d'aggressione e favorendo la
pacificazione fra i signori feudali.

Mozi si mostrò particolarmente attento al popolo e ad
evitare qualsiasi discriminazione, denunciando i mali della società: "L'oppressione
del debole da parte del forte, lo sfruttamento (...), l'inganno del semplice da
parte del furbo e il disprezzo verso gli umili da parte dei potenti". Rispetto
ai danni perpetrati da potenti che vivevano nel lusso Mozi propose un modello
alternativo, basato sui valori della pace, dell'altruismo, della solidarietà;
valori a suo avviso sintetizzabili in un unico ideale, l'amore universale
(tradotto anche come "amore senza discriminazione"): "non è forse l'amore
universale la causa dei più grandi benefici del mondo?" (Mozi, cap. 16). Mozi
partì insomma da un criterio pragmatico, caldeggiato con motivazioni
utilitaristiche, amare ogni altra persona come si ama se stessi, per
contrappore ad un sistema sociale segnato da forti conflitti e disuguaglianze
un modello sociale basato sull'assenza di discriminazioni e la convivenza
pacifica.

La storia ci ha consegnato anche altre figure ed altri
modi, meno etici, di vivere il proprio legame con le arti marziali ma proprio
per questo la vicenda e il pensiero di Mozi ci possono essere di stimolo per
riscoprire e rivivere il nobile binomio che si può stabilire fra Wushu e
valenze etiche ed educative.

Se in antichi contesti
militari, nel corso di travagliati periodi storici,  dalle competenze marziali ci si è spinti ad
alte elaborazioni etiche e filosofiche, per la costruzione di un bene comune
che, superando ogni sorta di discriminazione, potesse poggiare sulle basi
dell'altruismo e della solidarietà ... a maggior ragione la pratica sportiva del
Wushu nel contesto moderno può, e deve, essere orientata a finalità educative
ed etiche, per la costruzione di personalità sane e oneste, che possano
contribuire all'edificazione di una società più giusta e solidale.

Queste valenze sono
profondamente incise nella storia del Wushu, tanto da poter essere trasmesse
come una preziosa eredità da generazione a generazione, da maestro ad allievo;
questo patrimonio di valori e di coordinate etiche contribuisce a costituire
l'anima del Wushu, senza la quale anche le più raffinate competenze motorie
diventano sterili acrobazie svuotate di senso.

Ferdinando Costa

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